Un uomo riceve l’incarico di andare alla Casa dei Matti, padiglione I, per far compagnia ai degenti. Ed ecco spalancarglisi di fronte il mondo dell’ex manicomio, diverso da quello riformato coraggiosamente da Franco Basaglia, ma al tempo stesso sempre uguale, come un mito che non tramonta. Qui tutti hanno un’identità e una storia, anche se in frantumi. Tra l’odore del disinfettante e quello degli alimenti si aggirano Amalia, che si crede nobile, Anita, la “donna down” sempre col cappotto addosso, Maria che non fa che cantare, Olga, senza denti e con la mania religiosa, Berto, fissato con le parole crociate. E poi Cecilia: una donna molto anziana, di novantasei anni, di cui molti, troppi, trascorsi in manicomio, non si sa neppure perché. Cecilia è litigiosa, solitaria, bizzarra. Ma forse ha solo bisogno che qualcuno riconosca che lei “è”. Pino Roveredo si cala nella realtà dei “matti”, li fa parlare, sognare in diretta, si emoziona insieme a loro e poi li lascia al loro destino, che è diverso da quello dei normali, ma non troppo, in fondo. Il ballo della vita è sempre uno solo, e qui ne vengono fornite, in punta di piedi, con passione eleganza e dolore, le note e le movenze.